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Strage dei negozi in Italia: dal 2012 chiusi 1 su 5

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Chiudono i negozi di libri e giocattoli del centro.

Si moltiplicano i bed and breakfast.

Uno studio di Confcommercio e del Centro studi Tagliacarne racconta le città che cambiano e le tante saracinesche che si abbassano per sempre.

Oltre un negozio su cinque, in Italia, ha cessato l’attività in poco più di un decennio, dal 2012 al 2023, e non ha più riaperto.

Sono 111 mila le attività scomparse, a cui si aggiungono 24 mila imprese ambulanti, il 25,6% del totale.

È questa la dimensione del fenomeno chiamato “desertificazione commerciale”, che viene descritto come sempre più preoccupante, soprattutto nei centri storici, stretti tra la concorrenza dei centri commerciali delle periferie e soprattutto del web.

Gli acquisti online degli italiani sono quasi raddoppiati in quattro anni, fino a 35 miliardi di euro nel 2023.

Soffrono soprattutto le attività tradizionali, come le librerie e i giocattolai, che segnano -35,8% dal 2012, ma anche i negozi di mobili e di ferramenta, quelli di abbigliamento e i distributori di carburanti.

Al contrario si diffondono le farmacie, nuovi punti vendita orientati ai servizi e alla tecnologia e le attività di ristorazione e di alloggio, in aumento del 42%.

A proliferare sono soprattutto bar-ristoranti e bed & breakfast, in una crescita impetuosa e a volte disordinata che può provocare problemi per i cittadini residenti e dare vita a “città-svago” poco vivibili.

In ogni caso, è proprio la capacità di attrarre turisti e non residenti a salvare dal rischio di desertificazione molti comuni.

I centri dove è maggiore la tenuta del tessuto commerciale sono spesso destinazioni turistiche, localizzate soprattutto nel Mezzogiorno, o città scelte da studenti e lavoratori fuori-sede come Bologna.

Le zone in maggiore difficoltà sono, invece, nel Nord-Est, che sconta la riduzione dei turisti russi e tedeschi negli ultimi anni, e in Liguria, in comuni segnati dallo spopolamento.

Qui le attività scomparse in un decennio sono oltre il 30%.

La chiusura dei negozi, che riduce la vivibilità delle strade, e si accompagna spesso alla scomparsa degli sportelli bancari e di altri servizi può accrescere il disagio sociale e in Francia è stata correlata, secondo l’ufficio studi di Confcommercio, alle proteste anti-sistema dei gilets jaunes.

Un altro aspetto che emerge dallo studio è la riduzione di negozi, alberghi e pubblici esercizi con titolari italiani (-8,4% dal 2012) e l’aumento di quelli guidati da stranieri del 30,1%.

Sono immigrati anche molto lavoratori e metà della nuova occupazione straniera regolare in Italia è proprio in questi settori (+120 mila).

Le trasformazioni in atto sono tali che lo studio parla di “sopravvissuti” per i 440mila negozi ancora in attività.

“Prosegue la desertificazione commerciale delle nostre città.

Il commercio rimane comunque vitale e reattivo e soprattutto mantiene il suo valore sociale”, rivendica il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli.

La prova di forza per tanti negozi è stato il Covid, “avremmo potuto essere davvero sterminati durante la pandemia invece abbiamo perso solo il 6,7% delle imprese”, ha sottolineato il responsabile dello studio, Mariano Bella, indicando che i negozi chiusi dal 2019 sono stati 31 mila.

La strategia per non arrendersi alla desertificazione che viene indicata da Confcommercio passa dall’innovazione e la ridefinizione dell’offerta, con l’utilizzo anche di canali online anche per i negozi fisici, e dalla collaborazione con le istituzioni, a partire dai sindaci dell’Anci, per uno sviluppo urbano sostenibile.

Altri possibili rimedi sono segnalati dal presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, che indica “due misure molto concrete che – secondo lui – riuscirebbero in poco tempo a cambiare le cose”: nuove regole contrattuali per sbloccare le locazioni non abitative e la cedolare secca per gli affitti commerciali, prevista dalla riforma fiscale approvata dal Parlamento, ma non ancora attuata.

Un appello arriva anche dagli artigiani della Cna, che evidenzia le numerose criticità nell’attività d’impresa causate dal variegato contesto normativo e amministrativo e chiede semplificazione delle regole, riduzione della burocrazia e uniformità delle norme a livello nazionale.

Il governo è pronto ad intervenire: la settimana prossima, annuncia il ministro della Pa Paolo Zangrillo, presenteremo in Consiglio dei ministri “un decreto nell’ambito del Pnrr, condiviso con il ministro Fitto nel quale presenteremo 45 semplificazioni sulle attività artigiane”.